giovedì, marzo 23, 2006

Uniti verso il futuro

Gli studenti francesi protestano in questi giorni contro l'introduzione del Cpe, contrat première embauche (contratto di primo impiego) che introdurrebbe il licenziamento senza giusta causa per i lavoratori under 26 entro i primi due anni di lavoro.

I ragazzi francesi non vogliono un futuro ancor più precario di quanto già non sia il loro presente, si rifiutano di chinare il capo dinanzi all'ennesimo tentativo di smantellamento dei diritti acquisiti negli anni dai loro padri.

Provvedimenti di questo tipo, solo un filo meno scandalosi per il momento, esistono anche in Italia (vedi legge Biagi) e rischiano, se non lo hanno già fatto, di minare gli equilibri sociali di un intero Stato.

Mi chiedo, non è forse questo un prezzo un po' troppo alto da pagare per combattere la disoccupazione ?
Eppoi, questo passaggio dallo stato di disoccupazione al precariato (badate bene, non si parla di occupati) con prospettive di sistemazione, soprattutto in alcuni settori, assai remote non agevola in maniera esagerata i proprietari?

Uno squilibrio forte, che rischia di fatto di ridurre la stragande maggioranza delle persone in schiavitù, in quanto le priva giorno dopo giorno degli strumenti legislativi per difendersi.

Questo accade, proprio mentre la campagna elettorale ci propone slogan come quello di Casini - lo cito solo perchè è il caso più eclatante, ma potrei citarne altri - che mette "al Centro" del proprio progetto politico la famiglia.

Paradossale vero?
Da persona che ha vissuto nella precarietà i suoi primi anni lavorativi ed ha prodotto sforzi enormi per conquistare un minimo di dignità e un po' di tutele, mi sento molto vicino a tutte quelle persone, soprattutto ai giovani, che soffrono per questo genere di situazioni.
Nei momenti più difficili del mio percorso a ostacoli sulla strada del lavoro ho pensato di tutto, me la sono presa con la mia incapacità, poi con l'incapacità e il cinismo degl'imprenditori, infine con il mondo intero.

Solo in seguito, ho maturato che una strada c'è sempre per salvarsi, anzi due.
La prima è seguire un percorso individuale, aver voglia di fare, di migliorarsi e di aggiornarsi, l'altra è la strada della solidarietà, da percorrere con gli altri, agire anche per gli altri, perchè no - come nel caso degli studenti francesi appoggiati da tutti i lavoratori - indignarsi per ciò che accade agli altri.

Tutto questo aiuta a rimanere uniti nonostante i potenti meccanismi disgregativi della società odierna e aiuta a migliorare la condizione di tante persone.
Pensando di più all'interesse collettivo si sta un po' meglio tutti.

Sull'argomento un post con tanti pareri dal blog di Grillo: http://www.beppegrillo.it/2006/03/gli_schiavi_mod_1.html

4 Comments:

At 10:28 AM, Anonymous Anonimo said...

Adesso mi prendero' dei vaffa, ma mi trovo in disaccordo con te Vince'. Il licenziamento senza giusta causa che il CPE prevede in Francia tutto sommato non lo trovo scandaloso. Anzi, contribuisce a far crescere le aziende senza dover per forza avere gente che magari non fa una beata fava e che non puo' sostituire con chi quel posto se lo meriterebbe davvero. Parlando invece di casa nostra, in Italia c'è più tutela del posto di lavoro che non meritocrazia, vedi impiegati dele Poste, dei Ministeri e compagnia cantante. Il diritto al lavoro è sacrosanto ma trovo che uno il posto se lo debba anche sudare un po'. Il nostro cacchio di Paese non cresce come dovrebbe, le grandi imprese hanno gente che non si sa neanche cosa faccia dalla mattina alla sera ma è regolarmente assunta. Sono costi. E poi ci lamentiamo delle casse integrazioni. Il vero scandalo è dare per scontato il proprio posto, del resto in casa nostra un bell'esempio ci arriva perfino dall'ex Governatore della Banca d'Italia. Sulla sua poltrona ci sono ancora i segni delle sue unghie...

 
At 2:01 PM, Anonymous Anonimo said...

Il licenziamento senza giusta causa è uno scandalo senza confini che fà crescere e accrescere SOLO le aziende, non c'entra nulla con il basso rendimento produttivo di chi si trova ad essere dipendente a tempo indeterminato, ne tanto meno c’entra con la situazione economica attuale perchè altrimenti si giustifica il diritto delle aziende e soprattutto i loro interessi economici a scapito dei lavoratori ed è un serio attentato alla democrazia.
Intanto le attuali leggi già prevedono in Italia come in altri paesi come la Francia (come nel settore della pubblica amm.ne) delle restrizioni inferiori a quelle di qualche anno addietro e quindi i dirigenti/funzionari se esistono dei motivi di "giusta causa" possono provvedere al licenziamento dei c.d. “lavativi”. Alcuni lo fanno e i dati lo confermano, molti no perchè o per diplomazia "politica" o paura di esporsi o per la carriera non preferiscono questo canale "scomodo".
In Francia infatti preferiscono non dare alcun ostacolo alle aziende per sbattere fuori il proprio dipendente.
Le tutele che ha il lavoratore ci sono in Italia ed è giusto che ci siano; per coloro che non fanno il proprio dovere ci sono, ribadisco, anche le tutele per le aziende che dovrebbero per lo più metterle in pratica.
Il mio stipendio (tranne un paio di scatti minimi) è pressoché lo stesso di 5 anni fa, quando fui assunto. La crescita economica del nostro paese, al di là di quello che dice Berlusca e company, è a ZERO e la giustificazione della cattiva congiuntura economica di questi ultimi anni non si sposa con l’incremento sia pur minimo che in quasi tutti gli altri paesi Europei si è avuto.
Il diritto a lavorare si è tramutato in diritto alla precarietà e nel programma politico delle forze capeggiate dal Cavaliere non mi sembra venga data una priorità assoluta al LAVORO.
Come si può non lo so!

 
At 1:59 PM, Blogger the opinion maker said...

Mi piace il contraddittorio sviluppatomi dopo il mio post, "Uniti verso il futuro".

I vostri spunti mi danno modo di chiarire ulteriormente la questione:
dal mio ragionamento, evidentemente, si evince una totale avversione verso la flessibilità che di fatto non è tale.
Dico solo che, "è una questione di decenza" il non calcare ulteriormente la mano sulle politiche del lavoro.

Daccordo con te Nicolò, quuando dici che "in Italia c'è più difesa del lavoro che meritocrazia", ma questa considerazione non sposta di una virgola la questione che rimane drammaticamente aperta, anzi, queste tue affermazioni divengono un'aggravante ulteriore.

Perchè, amici miei, l'Italia non è un Paese che al momento possa sostenere politiche così spregiudicate.
Se il riferimento è l'America, abbiamo sbagliato strada e vi dirò anche perchè:

1. Non esistono in Italia, le condizioni lavorative (di mobilità) che invece troviamo nei Paesi nordici e anglo-sassoni.
2. Il sistema lavorativo italiano, rettosi per anni sul pubblico e l'industria sta rapidamente cambiando, per cui bisogna accompagnare questo cambiamento, già di per se traumatico dal punto di vista socio-economico, con interventi che tendano a rassicurare nell'incertezza, non ad aumentare la sensazione d'instabilità. E' il ruolo di uno Stato
3. Daccordo con Giulio: questi provvedimenti hanno sinora avvantaggiato soltanto le aziende ed hanno inflazionato le professionalità, come se fosse merce da comprare al chilo.
4. La flessibilità, gli stage non retribuiti, in un ambito come il nostro, ad alto tasso di disoccupazione, sono un ricatto.

Non sono contro flessibilità che volenti o nolenti è lo sbocco fututo, sono contro questa interpretazione della stessa.

Ditemi poi, soltanto per dirne una, se fare stage per 3-6-9 mesi, come si sente da più parti, senza essere retribuiti è dignitoso o meno. Per me è solo indecente che una persona in qualsiasi ambito, di qualsiasi professione o fascia d età debba elemosinare 2 soldi per poter tirare avanti. Va bene la competizione, ma un minimo andrebbe garantito a tutti. E' una questione di decenza, è una questione di dignità

 
At 3:18 PM, Anonymous Anonimo said...

Ben detto di dignità proprio!

 

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